Sylvia Earle, la missionaria degli oceani

20.08.2020

Nessuna persona al mondo conosce forse il mare meglio di lei. Il 30 agosto compie 85 anni una delle donne più straordinarie degli ultimi tempi, innamorata del mare, dei suoi misteri e dei suoi abissi al punto da collezionare più di cento spedizioni sottomarine e oltre 7000 ore di immersioni, che equivalgono a quasi un anno di vita passato sott'acqua: Sylvia Earle, l'oceanografa statunitense più famosa al mondo, giustamente battezzata "Her Deepness", ovvero Sua Profondità. È una donna che fa della salvaguardia degli oceani una nobilissima missione e lo scopo della sua avventurosa esistenza, e continua a immergersi e ad effettuare spedizioni subacquee anche dopo aver varcato la soglia degli ottant'anni. Per il "NewYork Times" è una "leggenda vivente", per la rivista "Time" "un'eroina del pianeta".
«Per me tutto è cominciato all'età di tre anni, quando sono stata investita da un'onda. Da allora, l'oceano mi affascina», da qui parte il racconto di un'esperienza più unica che rara. La vita di Earle assume tutti i colori di una favola dai contorni ai confini del reale, quella della più famosa Nereide dei tempi moderni, o più probabilmente di tutti i tempi. Ciò che più colpisce è che questa donna, destinata a diventare un "carro armato" delle profondità oceaniche, non sboccia, come Venere, dal mare ma in un territorio più vicino alla terra e alla natura vegetale. Seconda di tre figli nati dall'ingegnere elettronico Lewis Reade Earle e da Alice Freas Richie, trascorre l'infanzia in una piccola fattoria vicino a Camden, nel New Jersey, dove si incanta davanti alle meraviglie della natura esplorando in lungo e in largo i boschi vicini. All'età di dodici anni, quando il padre si trasferisce con tutta la famiglia in un'abitazione sul lungomare a Dunedin, in Florida, Sylvia inizia a indagare sugli esseri viventi che abitano nelle vicine saline e nelle distese di erba marina. A tredici anni inizia le prime immersioni con maschera e pinne nel Golfo del Messico. Da allora è un amore assoluto che l'accompagnerà per tutta la vita, complici anche gli audaci esperimenti che il guru Jacques-Yves Cousteau va compiendo in quel periodo con la sua Calypso, la nave-laboratorio destinata alle ricerche oceanografiche. Negli anni Cinquanta, studente presso la Florida State University, è una delle prime donne a immergersi con le bombole.

Dopo una prima laurea in Biologia marina nel 1955, inizia il dottorato di ricerca in Botanica presso la Duke University, nella Carolina del Nord, una delle istituzioni più prestigiose degli Stati Uniti, laureandosi nel 1956 e portando poi a termine una ben documentata tesi sulle alghe nel Golfo del Messico. A conclusione di un dottorato di ricerca, pubblica nel 1969 come tesi dilaurea un lavoro immenso per il quale raccoglie oltre 20.000 campioni di alghe. La sua carriera, tutta in ascesa, è punteggiata di riconoscimenti meritatissimi. Nel 1964, durante il primo viaggio nell'oceano Indiano, è l'unica donna in un equipaggio di 70 uomini. Nel 1965 dirige i Cape Haze Marine Laboratories a Sarasota, in Florida. Nel 1967 lavora come ricercatrice alla Harvard University sia presso il Farlow Herbarium, una collezione di rilevanza mondiale di circa 1.400.000 esemplari, sia presso il Radcliffe Institute, una prestigiosa istituzione che promuove piani di ricerca interdisciplinare.
Nel 1970, nell'àmbito del progetto di ricerca del governo statunitense Tektite II, Earle guida la prima spedizione subacquea al mondo formata da sole donne. Insieme a quattro colleghe, vive per due settimane in un laboratorio posto a circa quindici metri sotto la superficie della baia di Great Lameshur al largo dell'isola di St.John, nell'arcipelago delle Isole Vergini americane, per svolgere esperimenti e ricerche su flora e fauna marina e per testare le conseguenze di un soggiorno prolungato sott'acqua sul corpo umano. 

Poiché l'interessante esperimento scientifico si verifica in un momento in cui le donne americane stanno appena iniziando a lavorare in campi tradizionalmente riservati agli uomini (basti pensare che l'anno prima c'è stato lo storico sbarco sulla luna), il progetto Tektite II viene accolto con notevole entusiasmo dagli ambienti scientifici e non solo perché il team di Earle si rivela pienamente all'altezza di svolgere un lavoro che, per il suo rigore e la sua efficienza, non ha nulla da invidiare alle operazioni eseguite in precedenza da equipaggi completamente maschili.
Nella sua ricerca oceanografica, la scienziata si sposta da un luogo all'altro del pianeta, dalle Galapagos ai mari della Cina e alle Bahamas. Negli anni Settanta dà avvio alla collaborazione con la National Geographic Society, una delle più grandi istituzioni scientifiche ed educative no profit su scala planetaria, per produrre libri e film sulla vita negli oceani, nel 1976 lavora come ricercatrice presso la California Academy of Sciences che figura tra i dieci maggiori musei di storia naturale al mondo, occupandosi in particolare di ficologia, ovvero lo studio e la classificazione delle alghe. 

«Per tutti questi anni, la mia attenzione è stata interamente rivolta alla vita che ospita il mondo sommerso. Immergersi suscita un'incredibile sensazione, quella di sentirsi in assenza di gravità e di non sapere cosa aspettarsi, nella consapevolezza che ogni immersione riserva qualcosa di meraviglioso. Queste sorprese rendono l'oceano irresistibile: non posso immaginare la mia vita diversamente». È ancora Sylvia a parlare. Ed è così che si accinge a una delle imprese più incredibili di tutti i tempi.
Il 19 settembre 1979, a 44 anni, si immerge nelle acque dell'isola di Oahu (Hawaii) e cammina sul fondo marino a una profondità di 381 metri (1250 piedi), stabilendo il record mondiale d'immersione in solitaria per la massima profondità mai raggiunta da un essere umano senza sommergibile. Durante la missione, Earle esplora il fondale chiusa in uno scafandro rigido resistente alla pressione senza essere collegata al veicolo sottomarino che l'ha portata laggiù. All'inizio degli anni Ottanta fonda la Deep Ocean Engineering, una società che fornisce soluzioni e prodotti robotici integrati per varie applicazioni subacquee in ambienti operativi diversi e difficili, e insieme all'ingegnere britannico Graham Hawkes, il suo terzo marito, dà vita alla Deep Ocean Technology, specializzata in lavori subacquei ad alta profondità. Una realizzazione di entrambi, frutto della più sofisticata tecnologia, è il sommergibile Deep Rover, una piattaforma scientifica in grado di raggiungere profondità di 914 metri (3.000 piedi) sotto la superficie dell'oceano, adattissima per scoprire e analizzare oggetti e reperti archeologici sul fondo del mare. Ma il sogno nel cassetto di Earle resterà quello di creare un sottomarino dotato di una sfera di vetro sufficientemente resistente alla pressione, per poter mandare delle persone 10.000 metri sotto il livello del mare. Forse un giorno...
Intanto, alla studiosa si aprono via via le porte delle principali istituzioni di ricerca oceanografica. Tra il 1980 e il 1984 fa parte del National Advisory Committee on Oceans and Atmosphere, tra il 1990 e il 1992 è la prima donna a ricoprire il ruolo principale nella National Oceanic and Atmospheric Administration, l'ente statunitense creato nel 1970 per approfondire le ricerche oceanografiche, meteorologiche e climatologiche. L'attività svolta da Earle sul campo non deve far dimenticare ciò che realizza e lascia come insostituibile eredità di ricerca sul piano delle pubblicazioni, un insieme di oltre cento articoli di indiscusso valore scientifico, a cui si aggiungono saggi come The World Is Blue: How Our Fate and the Ocean's Are One (Il mondo è blu: come il nostro destino e l'oceano sono uno), una dei suoi ultimi e più importanti lavori, del 2009. 

Per Sylvia Earle non è un'eccezione, ma la normalità vivere a più riprese sott'acqua, e anche a un'età non più giovane, perché non viene mai meno, anzi si acuisce con gli anni, quella infantile curiosità che accende in lei l'insaziabile sete di scoprire misteri sempre nuovi nelle insondabili profondità degli oceani, molte delle quali giacciono ancora inesplorate. La conclusione che ricava dalle innumerevoli missioni è però sconfortante. Negli ultimi decenni è andata perduta pressappoco la metà delle barriere coralline insieme al novanta per cento dei pesci di grosse dimensioni e a molte specie di pesci più piccoli: una vera e propria strage dovuta agli esseri umani. Ogni anno si prelevano dagli oceani, usati irresponsabilmente come discariche, quasi cento milioni di tonnellate di fauna marina.
Nel 2009 Sylvia Earle riceve il Premio Ted (acronimo di Technology Entertainment Design), creato nel 2005 per premiare con centomila dollari a testa quelle personalità che, lavorando nel campo politico, accademico e scientifico, danno in vario modo il loro prezioso contributo per migliorare il mondo. Con questo sostegno l'instancabile signora degli abissi fonda Mission Blue, un grandioso programma di protezione delle aree marine volto a individuare le zone oceaniche da tutelare con apposite leggi e regolamenti, i cosiddetti Hope Spots (luoghi di speranza). Mission Blue è anche il titolo del documentario, premiato agli Emmy Awards, che narra la carriera e la nobile missione di Sylvia Earle. Se ci sono oggi nel mondo un centinaio di parchi sottomarini dove la flora e la fauna sono rigorosamente protette, il merito non certo piccolo è di chi, come lei, non smette di ricordare: «La storia della vita sulla Terra è soprattutto la storia dell'oceano. Se riempite un bicchiere con acqua di mare, vedrete un condensato di vita sulla Terra. L'oceano è il centro di tutto». 

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