MONACHE PER FORZA
Costringere una donna a farsi monaca è stata una consuetudine molto diffusa nei secoli passati che ha coinvolto ogni fascia sociale, in particolare la nobiltà. Il fenomeno raggiunge uno dei suoi vertici negativi nel XVII secolo. La donna, soprattutto aristocratica e borghese, non è libera. Se si sposa, deve sposare l'uomo che le scelgono, anzi le impongono i genitori. Se non si sposa, si deve fare monaca.
Il Seicento eredita dai secoli precedenti la piaga sociale più grave, la maggiore violenza psicologica che si possa fare a una donna: la monacazione forzata. Il caso più famoso: la Monaca di Monza, al secolo la contessa Marianna de Leyva, divenuta suor Virginia, nata a Milano nel 1575 e morta nella stessa città nel 1650, costretta dal padre a entrare in convento a 13 anni, resa universalmente celebre da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi col nome di Suor Gertrude.
Perché le donne nobili sono costrette a farsi monache? Perché il patrimonio, l'insieme dei beni di famiglia, casa e terreni, unico e indivisibile, deve passare in eredità tutto e solo al figlio primogenito, non deve essere diviso tra più eredi, quindi per salvaguardare e mantenere intatto il patrimonio.
C'è nella Venezia del '600 una donna che con estremo coraggio denuncia apertamente e senza peli sulla lingua il dramma delle monache forzate perché lo vive sulla sua pelle. Questa donna, eroina e martire della libertà, si chiama Elena Cassandra Tarabotti. Nasce a Venezia nel 1604, muore a 48 anni nel 1652. E' la prima di sei figlie femmine, ha anche cinque fratelli maschi. Secondo il padre, poiché non è bella e ha un lieve difetto fisico, nessuno la sposerà, non è donna da marito. Il suo destino è segnato: nel 1617, a tredici anni, contro la sua volontà viene chiusa nel convento benedettino di Sant'Anna dove prenderà i voti perpetui con il nome di suor Arcangela. Il monastero sarà la sua prigione, il suo carcere per 35 lunghissimi anni. Le mura claustrali saranno la sua tomba da viva. Sfoga tutte le sue frustrazioni in alcuni libri, nei quali dà voce a tante donne sepolte vive come lei che vivono lo stesso calvario, una via crucis vita natural durante. I titoli dicono tutto: La tirannia paterna, La semplicità ingannata, L'Inferno monacale, Il Paradiso monacale.
La giovane condanna con estrema durezza il padre-padrone che le ha tolto la libertà: il padre non ha il diritto di decidere il destino delle figlie. Elena, unica monaca femminista della storia, rivendica la dignità della donna e condanna le disuguaglianze di genere.
Se quando nasce una figliuola al padre,
la ponesse col figlio a un'opra uguale,
non sarìa nelle imprese alte e leggiadre
al frate inferior né disuguale;
[non al frate inferior né disuguale]
se la ponesse fra l'armate squadre
seco o a imparar qualch'arte liberale:
ma perché in altri affar viene allevata,
per l'educazion poco è stimata.
Se il padre trattasse maschi e femmine allo stesso modo, le donne dimostrerebbero di non essere in nulla inferiori ai fratelli. Ma alle figlie femmine viene negata l'istruzione, lo studio, la cultura. E infine la libertà di essere se stesse.
Dio non vuole - dice suor Arcangela - «il sacrificio di vergini rinchiuse a forza e la verginità del corpo imprigionato con la contrazione del cuore vagante». Elena impreca contro la società veneziana che non fa nulla per impedire il sacrificio delle vergini.
L'infelici monache, quando si sono lasciate condur nella carcere d'un chiostro infernale per loro, non dalla voce dello Spirito Santo, ma dalle fallaci promesse e da gl'astutti inganni de' tiranni parenti, all'hora che la speranza è inaridita, s'avveggono esser prese alla rete.
Poche donne si fanno monache per fede. Alcune preferiscono entrare in convento pur di non sposarsi con un uomo imposto dalla famiglia. Altre lo fanno per avere un tetto e un vitto sicuro, e anche protezione e istruzione.
Verso il 1780 Diderot scrive il romanzo La monaca o La religiosa (La religieuse), pubblicato postumo nel 1796. Si ispira alla storia vera di Marguerite Delamarre, una suora dell'abbazia delle clarisse di Longchamp, che nel 1758 chiede di uscire dal convento dove la madre l'ha rinchiusa perché il mondo non sappia che l'ha avuta da un amante. Diderot ha sotto gli occhi anche la vicenda di sua sorella, morta pazza in convento.
La monacazione forzata dura fino alla fine dell'Ottocento.
Monaca "per forza" dopo la morte del padre è la napoletana Enrichetta Caracciolo, nata nella città del Vesuvio nel 1821 e qui morta nel 1901. Nel 1841, a vent'anni, la madre la chiude nel convento di San Gregorio Armeno, tristissima sorte che ancora nel XIX secolo accomuna una moltitudine di ragazze di buona famiglia. Nessuna ama essere libera più di Enrichetta che ha già conosciuto l'amore nell'adolescenza.
Mossa da fervente spirito patriottico e liberale, scrive appunti che inneggiano alla libertà. Perseguitata dai Borbone, quando Garibaldi entra trionfalmente in Napoli il 7 settembre 1860, scappa di nascosto dal convento per trovarsi nel Duomo di Napoli ad accogliere l'Eroe dei due Mondi. Pochi mesi dopo ha il coraggio di svestirsi dell'abito monacale, che le è stato fin troppo stretto per troppi anni. Viene scomunicata e sposa col rito evangelico il patriota napoletano di origine tedesca Giovanni Greuther.
Diverso è il caso di Maria, sofferta protagonista del romanzo giovanile di Giovanni Verga del 1871 "Storia di una capinera". A causa della povertà della famiglia a sette anni è costretta a entrare in convento e a restarvi per tutta la vita come monaca di clausura. Quando poi si innamora di un giovane, poiché non può dare sfogo ai propri sentimenti, finisce per ammalarsi di mente.
Sono solo alcune delle tristi storie di costrizioni e di soprusi esercitati nei secoli ai danni delle donne, dolorose pagine di storia che invitano molto a riflettere su tante "capinere chiuse in gabbia" dei nostri giorni.