L'arpa, strumento angelico e femminile
L'arpa è lo strumento angelico per eccellenza ed è anche lo strumento femminile per eccellenza. Chi sono gli angeli dell'arpa? Sono le strumentiste che la fanno cantare e sanno tirarne fuori le più impercettibili e vibratili sfumature. L'arpa col suo timbro evanescente, impalpabile, ultraterreno, evoca da sempre angeliche, celestiali visioni. Ascoltiamo l'arpa e si delinea nella nostra fantasia l'immagine eterea di un angelo che vola nel cielo terso e cristallino. Del resto c'è una ricca iconografia di angeli musicanti con l'arpa. Nell'antico Egitto come presso gli antichi Ebrei e nel Medioevo l'arpa era suonata anche dagli uomini. Tele e affreschi rappresentano il biblico re David intento a suonare l'arpa.
E tuttavia l'arpa si è fissata nell'immaginario collettivo come lo strumento femminile per eccellenza, come lo strumento che più di tutti incarna l'eterno femminino. Tutto è accaduto quando alla fine del Seicento abili artigiani portarono con loro a Parigi piccole arpe e le trasformarono in autentici gioielli, riccamente decorate e ricoperte d'oro. Le dame se ne innamorarono e così l'arpa divenne lo strumento prediletto delle donne aristocratiche che nei loro salotti sfoggiavano sontuosi modelli sulle cui corde scivolavano le loro delicatissime, diafane dita.
Pensiamo a Maria Antonietta regina di Francia, a una delle più grandi pittrici del tempo, Adélaide Ducreux, e sempre oltralpe, a cavallo tra Settecento e Ottocento, a Madame Récamier, la più famosa salottiera all'epoca del Direttorio e del Primo Impero, e alla raffinata scrittrice Madame de Genlis, solo per citare i personaggi più conosciuti, tutte raffinatissime arpiste, esaltate come angeli musicisti. L'etichetta non permette loro di esibirsi in pubblico, ma solo nei loro sfarzosi saloni tappezzati di seta damasco. Ci sembra di vederle mentre suonano uno dei pezzi più conosciuti del repertorio barocco, la Passacaglia di Haendel. Scoperto e trascritto da Marcel Grandjany, il Concerto per arpa e orchestra dello stesso Haendel, datato 1736, è un caposaldo della letteratura arpistica. Né è da meno il Concerto per flauto, arpa e orchestra di Mozart, del 1778.
Vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento, l'arpista e compositore gallese John Parry scrive pregevoli pezzi per arpa e pianoforte. Nello stesso periodo, Sophia Giustina Corri, conosciuta anche col solo cognome del marito, Dussek, suona alla corte di Maria Antonietta di Francia e di Caterina II di Russia, e dedica la maggior parte del suo repertorio all'arpa. Tra le sue composizioni più notevoli spicca la Sonata in Do minore.
Il Romanticismo con la sua idea dell'armonia universale associa indissolubilmente l'arpa alla donna: l'arpa con la sua lunga e morbida risonanza è archetipo di bellezza, armonia e serenità (si pensi alla moderna arpaterapia), la donna è armonia con la perfetta euritmia e proporzione delle sue forme. «La donna è armonia, poesia, bellezza: senza la donna non c'è armonia». Rubo le parole di papa Francesco nell'omelia della messa mattutina a Santa Marta del 9 febbraio 2017. Nel clima romantico trova la sua maggiore diffusione l'arpa eolica, uno strumento musicale unico nel suo genere con le corde fatte vibrare dal vento. Fino alla metà dell'Ottocento è impossibile per una donna varcare il golfo mistico di molte orchestre con qualunque strumento, soprattutto nell'area tedesca. Ma nel clima propizio creato dal Romanticismo le prime donne ad essere ammesse a far parte di un'orchestra sono proprio le arpiste. Durante il XIX secolo, in Francia c'è una straordinaria fioritura di compositori per arpa. Oltralpe lo strumento trova il suo terreno più fertile e gode di una diffusione e di un successo senza pari. Nel 1801 François-Adrien Boieldieu dedica all'arpa un magnifico concerto. Nicolas Bochsa, prolifico compositore di lavori e studi per arpa, si rivela uno dei più grandi virtuosi del XIX secolo. Alphonse Hasselmans scrive numerosi assoli originali per lo strumento, e Camille Saint-Saëns le due Fantasie.
Le perle musicali si susseguono l'una dietro l'altra: due Danses per arpa cromatica e orchestra d'archi di Claude Debussy, del 1904, Introduzione e Allegro di Ravel, del 1905, Improvviso e Une châtelaine en sa tour di Gabriel Fauré, nel 1918; il Petit livre de harpe de Madame Tardieu, scritto dalla poliedrica Germaine Tailleferre tra il 1913 e il 1917 e il Concertino per arpa del 1927. Marcel Tournier, il poeta dell'arpa, insegna lo strumento al Conservatorio di Parigi per trentasei anni dal 1912 al 1948 e compone moltissimi pezzi per arpa sola.
E ancora due statunitensi di origine francese: Carlos Salzedo, autore di un valido metodo didattico e di concerti e pezzi vari per una o più arpe, e Marcel Grandjany, che lega il suo nome a un ricchissimo catalogo di brani originali e indovinate trascrizioni. Ma è una donna, la parigina Henriette Renié (1875-1956), la più grande virtuosa dell'arpa di tutti i tempi, a valorizzare al massimo lo strumento. Allieva di Hasselmans, a dodici anni si laurea in arpa al conservatorio di Parigi e insegna giovanissima a studenti provenienti da tutta la capitale. Nel 1914 promuove il primo concorso internazionale per arpa al mondo, il Concours Renié. Trascrive inoltre per arpa numerosi brani originariamente pensati per il pianoforte o per l'orchestra. Con i suoi dodici volumi di trascrizioni amplia smisuratamente gli angusti confini della letteratura arpistica. Nel 1946 Renié codifica un metodo didattico per arpa in due volumi ampiamente utilizzato ancora oggi in molti conservatori.
L'arpa, strumento straordinariamente comunicativo ed evocativo, crea un'alchimia tra musica e sentimento ed è un sublime veicolo di emozioni. Essa racconta sia il lirico e limpido fluire dell'acqua (penso a un pezzo come La source di Hasselmans) sia una preghiera recitata in silenzio (vedi Contemplation di Henriette Renié). Ora ricama una tessitura intensamente poetica, come nella Sérénade di Parish Alvars, ora fa rivivere una vasta gamma di stati d'animo in un pezzo sia pur breve come la Chanson dans la nuit (Song in the night) di Salzedo.
C'è poi un Paese come l'Irlanda, dove l'arpa è una vera e propria istituzione, compare sulle monete e sulla bandiera presidenziale. E all'arpa celtica con le sue sonorità appassionate e nostalgiche danno lustro e prestigio con la loro ricca vena creativa musiciste del calibro di Máire Ní Chathasaigh, Kay Mc Carthy, Shannaz Mosam, Karen Marshalsey, Morgan Jones, solo per citare alcuni nomi perché la lista sarebbe interminabile. All'arpa ci si rivolge come a una creatura che con la bacchetta magica delle sue corde suscita indescrivibili vibrazioni interiori. «Svégliati, mio cuore, svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l'aurora», inneggia l'anonimo autore biblico del Salmo 56. Gli fa eco, a distanza di molti secoli, il verdiano Nabucco: «Arpa d'or dei fatidici vati / perché muta dal salice pendi? / Le memorie nel petto raccendi, / ci favella del tempo che fu!».
E ancora il poeta irlandese del secolo XIX Thomas Moore:
«Canta, dolce Arpa, oh cantami
qualche canzone dei tempi antichi...
Canta, triste Arpa, canta per me...
Invano, triste Arpa, l'aria di mezzanotte
tra le tue corde sospira;
invano cerca un'eco
di voci ormai lontane...»
Qual è il presente e soprattutto il futuro dell'arpa? La risposta più evidente ce la dà il grande Federico Fellini nel suo film del 1979 Prova d'orchestra. È emblematica la scena in cui un'enorme palla d'acciaio demolisce un muro della sala investendo l'arpa e colei che la suona. A un giornalista che gli chiedeva: «Maestro, perché l'arpista è la vittima della palla d'acciaio che si abbatte sulla sala? Perché è proprio lei a essere colpita? Bisogna vederci un significato particolare?», Fellini rispose: «È il sacrificio dello spirito. È l'armonia distrutta dalla barbarie del XX secolo». Il Novecento in parte ha mandato in frantumi quella campana di vetro che custodiva l'arpa fin dalla notte dei tempi, ma nessuna rivoluzione tecnologica o di pensiero potrà mai strappare allo strumento quel suo inconfondibile alone magico, incantato, fiabesco.
La prodigiosa Henriette Renié era solita chiedere a ogni allievo: «Est-ce-que vous aimez la harpe?». Finché ci saranno persone davvero innamorate dell'arpa, essa resterà eternamente giovane e conserverà intatto il suo fascino. Secondo un'antica leggenda celtica Canoclacj Mhor, giovane dea, respinta dall'uomo che amava, disperata si addormentò in riva al mare. Quando si svegliò, vide una carcassa di balena abbandonata dalla marea. Le ossa della balena emanavano un suono così dolce e ammaliante che la dea disse loro: «Mia buona balena, tu non sei morta invano. Io forgerò da te uno strumento che darà gloria alle tue ossa e che conforterà gli uomini nel loro cammino verso la felicità». La dea modellò la mascella, tese nervi e tendini in modo che ogni corda emettesse un suono diverso. Al mattino quell'arpa iniziò a suonare. La dea la chiamò Clarsach, che vuol dire "voce cristallina del cuore". È quella voce che un'infinità di donne da un capo all'altro del mondo fa rivivere con un viscerale amore per l'arpa.