LA SARDEGNA MEDIEVALE, FIORE ALL’OCCHIELLO DELL’EMANCIPAZIONE
Nel Medioevo, tra il IX e il XV secolo, la Sardegna appare divisa in quattro stati, che sono dei veri e propri regni indipendenti, detti Giudicati: Torres, Gallura, Arborea e Cagliari. Il re è chiamato Giudice. Il fatto singolare è che su ognuno di questi quattro troni sale una donna in un'epoca in cui non è certo cosa da tutti i giorni per una donna diventare Capo dello Stato.
Al di là della gigantesca figura di Matilde di Canossa, la maggior parte dei libri di storia non fa menzione di questa situazione assolutamente eccezionale che le donne si trovano a vivere in Sardegna.
La prima donna ad accedere legittimamente a un trono sardo e una delle prime in Europa è Elena di Gallura, nata a Civita (oggi Olbia), centro principale del regno, intorno al 1190. Alla morte del padre nel 1203, a soli tredici anni, diviene regina sotto la reggenza della madre. Il suo potere si estende sul territorio dell'odierna provincia di Olbia-Tempio Pausania e sulla parte settentrionale della provincia di Nuoro, ma il regno di Gallura è anche il più piccolo e povero dei quattro giudicati sardi. Non mancano i corteggiatori che aspirano alla mano della giovanissima principessa: prevale su tutti il nobile pisano Lamberto Visconti. La vita di Elena è come una meteora: muore di parto, nel 1218, a soli 28 anni dopo tre lustri di regno.
Sul trono di Gallura salirà prima della fine del secolo, nel 1296, un'altra donna, Giovanna Visconti. Unica figlia di Nino Visconti, ultimo giudice effettivo di Gallura, alla morte del padre, quando ha appena cinque anni, diventa giudicessa di Gallura, ma solo di nome, per tutta la vita non lo sarà mai di fatto. Vive lontano dalla Sardegna e in realtà le sue terre sono amministrate direttamente dalla repubblica di Pisa. Con lei, che muore a Firenze nel 1339, la Gallura diventa a tutti gli effetti un dominio pisano.
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Quasi coetanea di Elena, ecco salire al trono Benedetta di Cagliari, detta anche Benedetta di Massa, classe 1194. Il giudicato di Cagliari si estende su un vasto territorio corrispondente alle odierne province di Cagliari, Carbonia-Iglesias e Ogliastra. Benedetta presta giuramento nel 1214, all'età di vent'anni, e nel luglio dello stesso anno sposa Barisone II di Arborea. I due decidono di governare congiuntamente i loro regni. Nel 1215 Lamberto Visconti, per ripristinare l'influenza di Pisa, occupa con un esercito la collina di Santa Gilla che domina la città di Cagliari. Mentre la città è in preda ai disordini tra sardi e pisani, muore Barisone, e a Benedetta non resta che sposare il vedovo Lamberto con la speranza di riportare la pace e porre fine ai tumulti. Ma gli scontri non cessano e la giudicessa, risposatasi successivamente altre due volte per cercare di difendersi dall'influenza pisana, è costretta a rifugiarsi a Massa, dove muore a 39 anni nel 1233. Santa Igia, capitale del giudicato di Cagliari, verrà rasa al suolo dai Pisani nel 1258 e il regno scomparirà per sempre dalla storia insieme alle rovine della città. La sua ultima e coraggiosa regina rimane ancora oggi l'emblema della forza delle donne sarde.
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Terza regnante in Sardegna, Adelasia di Torres (giudicato detto anche Logudoro, situato nel nord dell'isola comprendente l'attuale provincia di Sassari), nasce nel 1207 da Mariano, giudice di Torres, e Agnese di Massa. All'età di dodici anni, poco più che una bambina dagli occhi azzurri e dai lunghi capelli neri raccolti in una treccia, è obbligata a sposare il coetaneo Ubaldo, figlio di Lamberto Visconti e di Elena di Gallura. In seguito alla morte violenta del fratello durante una sommossa popolare, nel 1236 diventa regina con l'appoggio del marito Ubaldo. Rimasta vedova e senza figli nel 1238, la trentunenne Adelasia, che conserva intatti il suo fascino e la sua avvenenza, sposa il figlio naturale dell'imperatore Federico II di Svevia, il principe Enzo di Hohenstaufen, un bellissimo ragazzo biondo diciottenne: è un matrimonio al quale Federico II, malgrado la differenza d'età fra gli sposi, dà la sua benedizione desideroso com'è di costituire una sorta di regno unitario di Sardegna. Con le loro nozze celebrate nella chiesa di Santa Maria di Ardara, la capitale del regno, Enzo e Adelasia, che per l'occasione indossa la corona regale e il manto di ermellino che le ha inviato in dono l'imperatore, assumono il titolo puramente onorifico di re e regina di Sardegna. Trascurata, ripetutamente tradita e infine abbandonata pochi mesi dopo le nozze dal giovane sposo che mal sopporta la sua compagnia e l'atmosfera che si respira nell'isola, Adelasia, per quanto forte e coraggiosa, sentendosi umiliata e frustrata, va a vivere nel castello di Burgos, che oggi è un piccolo centro in provincia di Sassari, aspettando invano il ritorno di Enzo che non rivedrà mai più. Gli ultimi anni della giudicessa sono avvolti nel mistero.
Da una lettera a lei indirizzata da papa Alessandro IV nel 1255 si sa per certo che in quella data è ancora sul trono. Il suo atto più importante è certamente l'emanazione di un codice, la Charta de rennu (termine sardo che vuol dire "regno") che sancisce tra l'altro la parità dei diritti tra uomo e donna, la stessa successione ereditaria per maschi e femmine e un'equa distribuzione delle imposte. Muore intorno al 1259 senza eredi e con lei si estingue il Giudicato di Torres.
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Un fatto imprevisto avviene nel 1297 quando il papa dona la Sardegna come dominio feudale a Giacomo II, re d'Aragona. L'isola perde praticamente la sua indipendenza e diventa vassalla (oggi diremmo colonia) degli Aragonesi. In questa nuova fase della storia isolana si inserisce la figura di Eleonora d'Arborea, che lo scrittore Carlo Cattaneo definì «la figura di donna più splendida che abbiano le storie italiane» e che oggi è ricordata e celebrata come simbolo dell'emancipazione femminile in largo anticipo sui tempi. Il regno di Arborea corrisponde a parte dell'odierna provincia di Oristano, al territorio del Medio Campidano e a gran parte della Barbagia. Nata in Catalogna, più precisamente a Molins de Rei, nel 1347, Eleonora de Serra Bas (questo il suo cognome d'origine) trascorre i primi anni della giovinezza a Oristano, dove il padre regna in qualità di giudice.
Andata sposa prima del 1376 al nobile genovese Brancaleone Doria (un matrimonio chiaramente politico in funzione antiaragonese), soggiorna in parte a Castelgenovese (l'attuale Castelsardo), in parte a Genova. Nel 1383, approfittando del generale clima di disordine che regna in Sardegna in seguito all'assassinio del fratello Ugone III, morto peraltro senza lasciare eredi maschi, Eleonora si impossessa delle città, delle terre e dei castelli a lui appartenuti e si autoproclama giudicessa di Arborea, un atto pienamente legale poiché suo nonno, il giudice Ugone II, aveva disposto che in mancanza di eredi maschi le donne potessero salire al trono. Donna bellissima e coraggiosa, forte e determinata in un'epoca in cui gli uomini la fanno da padroni, Eleonora dimostra doti politiche e strategiche non comuni: non solo governa con saggezza il suo regno senza velleità autoritarie, ma dopo aver riunificato le terre un tempo governate dal padre progetta di unire tutta la Sardegna in un solo regno. Lega inoltre il suo nome alla Carta de Logu, un codice di leggi scritto in lingua sarda che ancora oggi richiama l'attenzione degli studiosi per la sua modernità e saggezza, promulgato dal padre ma da lei rivisto e aggiornato verso il 1392, destinato a rimanere in vigore per oltre quattro secoli fino al 1827, quando viene sostituito dal Codice Feliciano che prende il nome da Carlo Felice di Savoia, re di Sardegna.
Alcuni articoli tutelano le donne e affrontano delicatamente il tema dello stupro, come il diritto alla donna violentata di evitare le nozze riparatrici:
«Vogliamo, ed ordiniamo, che, se alcun uomo levasse per forza donna maritata, ovvero alcun'altra donna, che fosse giurata, o spulzellasse alcuna vergine per forza, e di dette cause fosse legittimamente convinto, sia giudicato, che paghi per la maritata lire cinquecento; e se non paga fra giorni quindici, dacché sarà giudicato, siagli tagliato un piede, per modo che lo perda: e per la nubile sia giudicato, che paghi lire dugento, e sia anco tenuto di pigliarla per moglie, s'è senza marito, e piaccia alla donna; e se non la piglia per moglie, sia anco tenuto di maritarla, secondo la condizione della donna, e la qualità dell'uomo; e se quelle cos'egli non può fare a giorni quindici, dacché sarà giudicato, siagli tagliato un piede, per modo che lo perda: e per la vergine paghi la simil pena, e se non ha da dove pagare, taglingli un piede, come sopra».
Eleonora non riesce a realizzare il suo sogno di riunire tutta l'isola sotto il suo comando: non ancora sessantenne, muore di peste intorno al 1404. Con la fine del più longevo dei suoi quattro regni la Sardegna cade definitivamente in mano agli Aragonesi. Si ipotizza che Eleonora possa essere stata sepolta nel Duomo di Oristano o secondo altri nella chiesa di San Gavino Martire a San Gavino Monreale, un comune nella provincia del Medio Campidano, vicino al castello di Monreale presso Sardana in cui spesso soggiornava. Di una donna così eccezionale, certo la figura femminile più emblematica della storia sarda, non si è trovata la tomba né esiste un ritratto certo, ma solo alcune raffigurazioni di fantasia.
Presso lo storico Palazzo Campus Colonna di Oristano, che sorge sulla Piazza Eleonora, si conserva un dipinto che mostra la giudicessa nell'atto di scrivere la famosa Carta; si tratta, però, di un'opera ottocentesca ricavata a sua volta da una fonte del Seicento, quindi il ritratto non è del tutto degno di fede.
Oristano ricorda la sua mitica regina con la piazza che porta il suo nome e con un maestoso monumento collocato al centro, un'opera accademica e celebrativa firmata da due artisti fiorentini, lo scultore Ulisse Cambi e l'architetto Mariano Falcini, solennemente inaugurata il 22 maggio 1881. Nei bassorilievi in bronzo ai piedi della statua sono scolpite la messa in rotta del campo aragonese nel Castello di Sanluri e la promulgazione della Carta de Logu.
Nello stesso anno 1881 l'oristanese Vandalino Casu scolpisce in suo onore un monumento in terracotta che si conserva nel giardino della sua Villa Eleonora, una delle più belle ville sarde, poi trasformata in orfanotrofio.
La sua figura trova eco nella cultura di massa tanto che, oltre a ispirare varie rappresentazioni teatrali, la poetessa e compositrice lodigiana Carlotta Ferrari ne fa la protagonista di un melodramma rappresentato a Cagliari nel 1871.
Dall'ultima giudicessa sarda prende il nome perfino un uccello, il falco Eleonorae o falco della regina, un rapace diffuso nel bacino del Mediterraneo.
A Eleonora ha reso recentemente il dovuto omaggio una talentuosa artista della sua terra, Gisella Mura, con un grande murale realizzato a Terralba, in provincia di Oristano.